«Torna a casa, Renzi!». Potrebbe essere il titolo di un nuovo film con protagonista non il celebre collie Lassie, ma con il sindaco di Firenze, che a casa (Mediaset) ha deciso di tornarci davvero. Dopo la storica partecipazione a La Ruota della Fortuna, il “buon” Matteo ha deciso di partecipare a – rullo di tamburi – nientepopodimeno che Amici di Maria De Filippi. Le male-lingue, che poi solitamente ci prendono, affermano che sia l’inizio della sua personale campagna elettorale.
Verrebbe da chiedersi, innanzitutto, come mai Silvio Berlusconi, proprietario della rete televisiva, consenta la partecipazione di un suo possibile rivale alle prossime elezioni in una trasmissione in prima serata, per di più non in una puntata qualsiasi, ma in quella d’inaugurazione della nuova serie (capace, lo scorso anno, di registrare 4,8 milioni di telespettatori e di risultare prima fra tutte nello share serale). Sarà che gli amici di cena (o di festa?) non si dimenticano o, per citare Foscolo, siamo di fronte ad una soave corrispondenza d’amorosi sensi, visto che il 12 Settembre del 2012 il leader del Pdl affermava che «Renzi porta avanti le nostre idee sotto le insegne del Pd».
Ma qui il problema è essenzialmente un altro. Al contrario di quel che afferma Domenico Naso nel suo blog sul Fatto Quotidiano, la partecipazione del sindaco di Firenze ad «Amici» (che con «Uomini e Donne» e il «Grande Fratello» costituisce una delle pietre angolari del processo di assuefazione di massa degli ultimi vent’anni) rappresenta l’omologazione della sinistra al berlusconismo: il successo facile, il trash televisivo che soppianta scuola e cultura. L’idea che per battere «il Caimano» sia necessario diventare «lo Sciacallo», copiarlo, adeguarsi alla sua idea di politica rappresenta la più grave sconfitta della sinistra. Una sconfitta non semplicemente politica, ma in particolar modo culturale e sociale. Perché vincere senza essere alternativi nei modi e nei metodi, senza proporre un’idea di società diversa, lontana dalla narcotizzazione del pensiero messa in atto dalle televisioni non può considerarsi un cambiamento reale.
Ho sempre ritenuto che il compito primario della politica fosse quello di educare il popolo, di elevarlo, di innalzarlo. Adeguarsi vuol dire abbandonarlo, accettare lo status-quo, pensare che non sia possibile scrivere un racconto diverso da quello egemonico degli ultimi vent’anni. Significa che, pur di raccattare qualche voto, saremo costretti a salire sui palchi di Pontida e iniziare a ruttare.