Pasquale Videtta

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Renzi ad “Amici”: dal Caimano allo Sciacallo

In Politica, Televisione on 29 marzo 2013 at 10:23

renzi adesso«Torna a casa, Renzi!». Potrebbe essere il titolo di un nuovo film con protagonista non il celebre collie Lassie, ma con il sindaco di Firenze, che a casa (Mediaset) ha deciso di tornarci davvero. Dopo la storica partecipazione a La Ruota della Fortuna, il “buon” Matteo ha deciso di partecipare a – rullo di tamburi – nientepopodimeno che Amici di Maria De Filippi. Le male-lingue, che poi solitamente ci prendono, affermano che sia l’inizio della sua personale campagna elettorale.

Verrebbe da chiedersi, innanzitutto, come mai Silvio Berlusconi, proprietario della rete televisiva, consenta la partecipazione di un suo possibile rivale alle prossime elezioni in una trasmissione in prima serata, per di più non in una puntata qualsiasi, ma in quella d’inaugurazione della nuova serie (capace, lo scorso anno, di registrare 4,8 milioni di telespettatori e di risultare prima fra tutte nello share serale). Sarà che gli amici di cena (o di festa?) non si dimenticano o, per citare Foscolo, siamo di fronte ad una soave corrispondenza d’amorosi sensi, visto che il 12 Settembre del 2012 il leader del Pdl affermava che «Renzi porta avanti le nostre idee sotto le insegne del Pd».

Ma qui il problema è essenzialmente un altro. Al contrario di quel che afferma Domenico Naso nel suo blog sul Fatto Quotidiano, la partecipazione del sindaco di Firenze ad «Amici» (che con «Uomini e Donne» e il «Grande Fratello» costituisce una delle pietre angolari del processo di assuefazione di massa degli ultimi vent’anni) rappresenta l’omologazione della sinistra al berlusconismo: il successo facile, il trash televisivo che soppianta scuola e cultura. L’idea che per battere «il Caimano» sia necessario diventare «lo Sciacallo», copiarlo, adeguarsi alla sua idea di politica rappresenta la più grave sconfitta della sinistra. Una sconfitta non semplicemente politica, ma in particolar modo culturale e sociale. Perché vincere senza essere alternativi nei modi e nei metodi, senza proporre un’idea di società diversa, lontana dalla narcotizzazione del pensiero messa in atto dalle televisioni non può considerarsi un cambiamento reale.

Ho sempre ritenuto che il compito primario della politica fosse quello di educare il popolo, di elevarlo, di innalzarlo. Adeguarsi vuol dire abbandonarlo, accettare lo status-quo, pensare che non sia possibile scrivere un racconto diverso da quello egemonico degli ultimi vent’anni. Significa che, pur di raccattare qualche voto, saremo costretti a salire sui palchi di Pontida e iniziare a ruttare.

Il momento più basso di Servizio Pubblico

In Politica, Televisione on 11 gennaio 2013 at 14:04

santoro berluIeri sera Silvio Berlusconi ha vinto su tutti i fronti. E’ riuscito a dire cose abbastanza sensate sul debito, sul fiscal compact e sul ruolo della BCE; ha fatto infuriare Santoro; ha depotenziato le accuse che gli sono state rivolte, non smentendole, ma affrontando tutto con il cabaret, con le battute, con gag più adatte ad un circo che ad una trasmissione televisiva. Della puntata di ieri, se ci pensate, non resterà impresso l’ottimo editoriale di Travaglio (mi riferisco al secondo), né le accuse, né le contraddizioni. Della puntata di ieri si ci si ricorderà della “sua” lettera al vice-direttore del Fatto Quotidiano, che agli occhi dell’italiano medio risulterà un diffamatore di professione, delle sue frecciate con Santoro, della sua posa nel momento in cui è stato definito «latin lover», delle «scuole serali», del «non sapete nemmeno scherzare», della pulizia della sedia.

Ma la più grande vittoria di Berlusconi è stata quella di far ammettere a Santoro che vi era stato un accordo tra le due parti affinché non si parlasse dei processi. «Lei non ha rispettato le regole che ci siamo dati», ha sbottato il conduttore di Servizio Pubblico e il leader del Pdl ha colto la palla al balzo: «Quali regole?», ha domandato retoricamente la prima volta e dopo non aver ricevuto risposta ha ripetuto: «Che regole?».  Al che Santoro ha ammesso: «Di non entrare nel merito dei processi». Sì, il momento più basso di Servizio Pubblico di ieri non è stata la performance da cabaret di quello che è stato il presidente del Consiglio, bensì l’ammissione del conduttore di essere sceso a “patti con il diavolo”, concordando che non si sarebbe affrontato il tema più spinoso in assoluto per il Cavaliere: i problemi giudiziari.

Ritengo il tutto particolarmente grave. Un giornalista non può e non deve mai perdere la sua autonomia, non può e non deve porre limiti alle domande, non può e non deve scendere a compromessi di alcun tipo con il suo interlocutore. Se “Tizio” non accetta che determinate questioni gli vengano poste, non lo si ospita. Semplice. Magari non si otterrà il 33% di share, ma la propria professionalità e la propria dignità resteranno intatte.